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TROPPE IRREGOLARITÀ NELLA GESTIONE DELLA SOAP

“Agrodolce”, finale amaro
tra scandali e fondi revocati

Doveva rilanciare con il linguaggio della fiction l’immagine della Sicilia. E invece “Agrodolce”, chiusa tra i debiti e le polemiche, ha svelato tutti gli inganni di un sogno mancato. Con un contorno di milioni bruciati, fondi revocati e la minaccia di una guerra legale tra la Regione e la Rai.
Un finale più patetico di questo non poteva essere immaginato neppure come colpo di scena: in fondo le premesse del disastro c’erano tutte. Troppa improvvisazione politica, ambizioni smodate, allegra gestione di fondi stornati dalla loro originaria destinazione. La conclusione è la fine dell’illusione di creare a Termini Imerese una Cinecittà in salsa siciliana. E uno scandalo che forse è solo all’inizio.
Per individuare chiaramente le responsabilità ci vorrà ancora tempo. Intanto si può ricordare che “Agrodolce” nasce da un progetto voluto e promosso nel 2005 dall’ex presidente della Regione, Totò Cuffaro, dall’allora sottosegretario Gianfranco Micciché e da Gianni Minoli autore di programmi di approfondimento e di successo per la Rai.
Il coacervo di interessi è forse il peccato originale che ha condizionato l’operazione, dall’inizio alla fine. La fiction ha avuto due serie. Nella prima, che è andata in onda tra il 2008 e il 2009 con uno share non esaltante ma decoroso, la Regione ha investito quasi 11 milioni. Altrettanti la Rai. La produzione è stata gestita, sotto la supervisione e la direzione artistica di Minoli, dalla società Einstein di Luca Josi. Le premesse sembravano interessanti: tra attori e maestranze sono state coinvolte più di 300 persone. Anche l’indotto ne ha tratto benefici.
Per la seconda serie l’impegno è aumentato. La Regione, prima con Cuffaro poi con Lombardo, ha trovato 24 milioni andandoli a pescare tra i fondi che il Cipe aveva destinato, con un accordo di programma quadro, a “trasporto stradale e sviluppo locale”. Erano soldi destinati alle infrastrutture ma, con una forzatura interpretativa che è all’origine di tutti i guai, sono stati trasferiti alla fiction.
Che non si trattasse di un’operazione ineccepibile, sotto il profilo del rispetto delle regole e della forma, è diventato chiaro in corso d’opera quando sono scoppiate altre grane. La società Einstein, per esempio, ha denunciato il mancato pagamento di alcune fatture dall’importo cospicuo. E la Regione ha cominciato a non pagare quando si è accorta che forse non era una procedura regolare quella di pagare a piè di lista mentre le regole di una buona e corretta amministrazione richiedono una specifica delle voci di spesa. È così che si è innescato un contenzioso mentre un altro scontro si apriva, con uno scambio di accuse di scorrettezze, tra la Einstein e Gianni Minoli. Luca Josi ha presentato a un certo punto un esposto alla Procura di Roma per segnalare sprechi, favoritismi, casi di clientelismo e perfino una parentopoli.
L’ordinanza di archiviazione è stata emessa dal giudice per le indagini preliminari Maurizio Caivano, il quale ha accolto la richiesta di archiviazione del pm. Josi aveva accusato Minoli quale responsabile editoriale della fiction di Rai3 di aver utilizzato “per secondi fini il suo ruolo ricoperto nell’ambito dell'organizzazione Rai” e di avere avanzato “richieste di assunzioni, di far subentrare soci senza alcuna chiara compensazione economica, di acquisizione diretta della società, nonché l'imposizione di nomine ed incarichi all'interno della società”.
L’inchiesta è stata poi archiviata. Il gip Maurizio Caivano non ha trovato “elementi di prova” a sostegno delle dichiarazioni di Josi il quale accusa Minoli di aver utilizzato “per secondi fini il suo ruolo ricoperto nell’ambito dell'organizzazione Rai” e di avere avanzato “richieste di assunzioni, di far subentrare soci senza alcuna chiara compensazione economica, di acquisizione diretta della società, nonché l'imposizione di nomine ed incarichi all'interno della società”.
Nella sua ordinanza il giudice Caivano sottolinea anche che non si può escludere che “le scelte operative siano il frutto, non già di una imposizione” da parte di Minoli, “bensì di una volontà intesa a massimizzare la buona riuscita del progetto, riducendone i costi”. In sostanza, il responsabile della soap si sarebbe preoccupato di tenere sotto controllo le spese. E infatti: “Le decisioni di volta in volta adottate sembrano ispirate dall'intento di adottare soluzioni in grado di portare al termine il progetto, superando i ritardi e le difficoltà che ne ostruivano la realizzazione, e mantenere alta la qualità del prodotto''.
Il gip ha anche archiviato la posizione degli altri due indagati. Sono Renée Cammarata, di cui Minoli avrebbe preteso – era l’accusa di Josi – l’assunzione in una società del gruppo Einstein, e Ruggero Miti, che Minoli avrebbe voluto come produttore esecutivo.
Si tratta di ipotesi che non hanno trovato un riscontro investigativo. Da qui l’archiviazione.
Ben altre sono invece le conseguenze sull’uso dei fondi. L’avvocatura dello Stato aveva avvertito la Regione che i pagamenti delle fatture non erano regolari perché non c’erano le pezze d’appoggio in grado di documentare dettagliatamente le spese sostenute. Di queste irregolarità si è accorta anche Roma e la conseguenza è stata fatale: i 24 milioni impegnati sono tornati al Cipe. I soldi della fiction sono stati persi e alla Regione è rimasto ora il compito ingrato di colmare i “buchi” dell’intera operazione finanziaria.
Quello che seguirà è un atto obbligato. L’assessore Michela Stancheris si è ritrovata sul tavolo un dossier scottante e lo porterà in giunta per decidere cosa fare. È facile prefigurare un mega contenzioso tra la Regione e la Rai. Ma bisognerà anche chiarire che parte hanno avuto, in tutta questa storia, chi ha pagato e chi ha incassato. E anche attori e maestranze rischiano di pagare un conto personale: restituire le indennità percepite con la cassa integrazione.
Più nero e amaro di così non poteva essere il finale di “Agrodolce”.
10.11.2013

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