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STRASCICO DELL'INFUOCATA CAMPAGNA ELETTORALE

Cefalù, lite in carta bollata
Punzi cita Sgarbi per danni

Il pezzo più conosciuto e apprezzato della gastronomia italiana è certamente la pizza che qualcuno ha candidato addirittura come patrimonio Unesco. Ma definire qualcuno “pizzaiolo” sia pure per esprimere una critica politica è offensivo? È l’ultima querelle che nasce a Cefalù, città dalle infinite risorse polemiche. Ma a rendere tutto più effervescente sono i protagonisti del confronto. Da un lato Vittorio Sgarbi e dall’altro l’avvocato Massimo Punzi, marito del sottosegretario Simona Vicari. È a Punzi che Sgarbi ha rivolto l’appellativo di “pizzaiolo” e Punzi ha reagito citando il critico in giudizio per un risarcimento danni di 200 mila euro. Questa è la domanda sulla quale sarà chiamata a decidere il giudice Teresa Ciccarello del tribunale di Termini Imerese. L'udienza è fissata per il 22 aprile. Ma Sgarbi non si è limitato a difendere il suo “diritto alla critica anche attraverso la caricatura”. Dopo avere ripescato alcuni Sms dalla memoria del suo smartphone, ha presentato a sua volta una domanda riconvenzionale: è lui a chiedere un risarcimento danni perché giudica offensivi o almeno diffamatori i messaggi dell’avvocato Punzi.
Palcoscenico della lite in carta bollata è la piazza Duomo di Cefalù in occasione della indimenticabile campagna elettorale per le amministrative del 2012. Sgarbi, che veniva attaccato come “incandidabile” da sindaco uscente del Comune di Salemi sciolto per infiltrazioni malavitose, era in lista come sindaco con uno schieramento tutto suo. Si confrontava con gli altri due candidati: Rosario Lapunzina (centro sinistra) poi eletto e Edoardo Croci (centro destra). Ma prima che spuntasse Croci il centro destra aveva pensato proprio a Sgarbi. La proposta gli era venuta nel corso di una serata conviviale nella villa di Simona Vicari. Ma poi non se ne fece nulla. Anzi, scartato Sgarbi, venne scelto Croci.
Di quell’incontro, cordiale nei toni e nelle premesse, Sgarbi ricordava soprattutto il fatto che il marito dell’ex sindaco aveva preparato le pizze per gli ospiti. E per questo lo chiamò “pizzaiolo”. Anche perché, aggiunge adesso, non sapeva quale attività svolgesse. L’avvocato Punzi reagì prima protestando privatamente e poi, ritenendosi offeso, si rivolse al giudice per chiedere i danni di immagine: 200 mila euro, appunto.
Sgarbi però non ci sta. “Non credo – dice – che sia offensivo chiamare qualcuno pizzaiolo. Mi conforta in questo convincimento la raccolta di 300 mila firme a sostegno della candidatura della pizza come patrimonio immateriale Unesco. Dunque, un bene dell'umanità".
Quella del pizzaiolo, scrive nella comparsa, è una “professione ever green, che con il tempo si è evoluta”. La ricerca continua di tecniche e pratiche e conoscenze ha “trasformato il pizzaiolo moderno da semplice artigiano della margherita e marinara, in qualcosa di assai più complesso”.
Negli anni Sessanta quando ebbe inizio "l’espansione della tonda napoletana cotta in forno a legna", il pizzaiolo professionista – scrive – veniva ritenuto tale sommando poche semplici qualità: bontà del prodotto, serietà, puntualità ma soprattutto velocità. “Oggi si aggiungono a quelle virtù affidabilità, intesa come costanza del prodotto, conoscenze teoriche sulle farine, evolute anch’esse, metodi di impasti raffinati che donano particolarità e sanno fare la differenza”. In conclusione, la pizza è un alimento semplice e genuino e il pizzaiolo una professione rispettabile. Sarà una definizione politicamente “scorretta” ma, a giudizio di Sgarbi, non può considerarsi offensiva. E poi 200 mila euro di danni gli sembrano tanti. “Non vedo – spiega – il senso delle proporzioni”.
Ma questo lo dirà il giudice Ciccarello.
31.03.2015

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