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28.08.2014
Michele Spallino
Michele Spallino
Parlo da cittadino. Da castelbuonese incantato dalle meraviglie del proprio paese natio, ammaliato dalle mille prodezze e bellezze che le strade di questo piccolo centro hanno vissuto, posseduto e tramandato. Parlo da castelbuonese, che alla crescita del proprio paese ha dedicato e dedica tuttora energie e passione in forma sempre gratuita: potrei fare un elenco non male.
Ed è da questa semplice prospettiva che mi sento titolato a denunciare l’abuso svoltosi il 25 agosto presso la casa Speciale, in cui si è assistito ad una forzatura di forma tale da far passare per “donazione” una restituzione, tardiva e peraltro molto parziale, di un patrimonio già doverosamente civico. Ma il difetto formale, nella filosofia aristotelica ma anche in giurisprudenza, è difetto sostanziale. Alcuni beni mobili della donazione – quella sì – del patrimonio Cicero-Speciale sono stati “donati nuovamente”, nonostante una lunga letteratura di volontà testamentarie, verbali dell’allora Centro Civico e del più recente Museo Civico, di un contenzioso legale avviato dalla scorsa amministrazione e di precise informazioni verbalmente comunicate dal sottoscritto all’attuale sindaco, confidando nel comune interesse al bene pubblico.
Già il catalogo dell’antologica su Paolo Cicero del 1995, compilato e redatto puntualmente dallo stesso Roberto Di Liberti, riportava in una tabella conclusiva la “proprietà” delle opere esposte, distinguendo i prestiti delle varie famiglie e degli eredi dal principale corpo, da egli stesso definito di proprietà del “Centro Civico”. Doveroso farlo, trattandosi quasi di un centinaio di opere del pittore castelbuonese consegnate al presidente pro tempore dell’istituzione culturale e al suo direttore, sia per l’imminente mostra celebrativa sia per liberare la casa (Speciale) successivamente oggetto di lavori e già di un contenzioso risolto dal Comune qualche anno prima, acquisendo anche il “contenuto” della stessa, in favore della risoluzione del Castello Don Marco, poi oggetto di altra donazione alla Curia. Molte delle opere di Cicero, a mostra terminata, tornarono in possesso di un ramo dei discendenti che tutt’ora, si presume, le custodiscano; il resto – opere minori, disegni e documenti – sono rimasti al Di Liberti e a Sottile.
Ma oltre a ciò che è più o meno direttamente riconducibile a Paolo Cicero – ed è questa la scoperta in cui sono casualmente incappato qualche anno fa – nel fondo (e nello specifico in una “cassa”, insieme ad altro) una decina di altre tavole e tele, di ben altro autore e interesse artistico ed economico, silenziosamente da una settantina d’anni riposavano in attesa che qualche competente ne intuisse l’incredibile mano ed il grande interesse internazionale. Oggi invece il comune accetta miseramente una “donazione”, costituita pare da 52 piccoli quadretti di Cicero, più un centinaio di disegni soprattutto degli allievi e altri documenti. In un certo senso, ed è questa la preoccupazione che mi spinge ad espormi e condividere, riconosce la proprietà di quel patrimonio alla famiglia che per diciott’anni lo ha trattenuto, ed implicitamente – temo – non fa che estendere quella proprietà anche al resto del patrimonio, che oggi potrebbe fare la fortuna di Castelbuono. Una collezione – di cui vi parlerò in prossime puntate – che ha già girato grandi musei del mondo, e che è oggi affidata alle mediazioni di una galleria australiana. Una collezione che potrebbe aver già perso, al prezzo di centinaia di migliaia di dollari in cambio, qualcuno dei suoi pezzi migliori. Paolo Cicero è stato usato due volte, in ultimo come contentino attraverso il quale acquisire dal Comune una sorta di sanatoria sul resto. Il Museo Civico, in cui negli anni della “scoperta” ero presidente, si è premurato in ogni modo di supportare il Comune, unico proprietario ad avviso degli amministratori di allora, in un’azione atta a recuperare quel fondo, auspicando nel riconoscimento della proprietà comunale delle opere di Cicero per poi puntare, svelando le tante “prove”, anche al resto. Ed è stata in difesa di questa strategia il motivo del silenzio fino ad oggi, nella speranza che le persone addette a garantire la continuità di alcuni intenti di interesse pubblico – dirigenti, membri di Cda, ex amministratori – facessero da tramite e tenessero memoria o che i nuovi approfondissero le carte. Dispiace prendere posizioni di questo tipo, e dispiace ancor più farlo quando si tirano in mezzo uomini degni di stima, ma non è tollerabile che l’intelligenza di Castelbuono venga calpestata in questo modo.
In questa storia, tanto affascinate ed incredibile (al punto che mi riservo di farne un racconto) quanto insopportabile negli esiti attuali, alcune domande elementari restano senza risposta: per quale ragione quel patrimonio, con evidenza prelevato dalla casa, è oggi donato dalla famiglia Di Liberti? Quando e perché la famiglia ne assunse la proprietà, visto peraltro che in più occasioni – nei primi anni – Di Liberti riconosceva l’evidente titolarità pubblica, anche nelle richieste al Comune di fondi per restaurarlo? Cos’altro c’era nella casa, nel fondo, nella “cassa”? A quest’ultima domanda fornirò prossimamente io stesso un’inattesa risposta, che renderà tutta la vicenda un po’ più chiara, convinto come sono che il dibattito andrà per le lunghe.
Sono disponibile in ogni sede ad entrare nel dettaglio, come fatto allora all’avvocato incaricato del procedimento, fornendo tutte le informazioni in mio possesso e di certo lo stesso farebbero altri ex amministratori, anteponendo l’interesse di tutti al quieto vivere. Siamo di fronte ad una di quelle rare occasioni in cui, un piccolo paese come Castelbuono, potrebbe dare una piccola-grande svolta al proprio avvenire. Ma purtroppo, insieme al resto, dispiace la superficialità con la quale sindaco e altri rappresentati istituzionali, vecchi e nuovi, o vecchi e nuovi contemporaneamente, affrontino materie di così alta importanza per la crescita, anche patrimoniale, del Comune.
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